Quando il consultante vuole prendersi gioco del Tarologo
A volte succede, nei blog, sui social, nelle lettere ai giornali, di leggere frasi tipo “mi sono fatta fare le carte su mio marito morto senza dirlo al cartomante e lui non si è nemmeno accorto”, oppure “ho detto quella cosa che era falsa e lui non l’ha vista” o altre similari, scritte (o dette) con l’aria di chi è riuscito a smascherare l’imbroglione di turno evidenziando la sua supposta ciarlataneria. Ci dispiace considerare, viceversa, che in questi casi l’ “imbroglio” e la “ciarlataneria” sono tutti del consultante, e tutti a suo proprio danno, si proprio così. Vediamo il perché.
LA VISIONE DEL TAROLOGO
E’ noto, infatti, che i tarocchi rispondono alle domande, a qualsiasi tipo di domanda, attraverso un linguaggio simbolico. Sono i simboli che agiscono sul tarologo e, attraverso lui stesso, risuonano in modo da attivare la risposta corretta all’interno del consultante. Va da sé che il simbolo, che altro non è che la rappresentazione grafica di un archetipo, debba essere contestualizzato e per farlo il tarologo si avvale di due possibilità: o pone una domanda al consultante per comprendere il sentiero di risposta da affrontare praticamente oppure si attiene al contenuto della domanda stessa.
IL CASO DEL PARENTE MORTO
Un esempio molto frequente: se si domanda al tarologo cosa sta facendo una persona che in realtà noi sappiamo con certezza essere deceduta al solo scopo di “prenderlo in castagna” non si è capito che la risposta dei tarocchi sarà strettamente legata alla domanda. Potrebbero, quindi, rispondere in funzione del nuovo stato assunto da quella persona: “in viaggio”, ad esempio, da intendersi non in senso fisico, ma metafisico, “sofferente” con riferimento alla sua anima ecc. I tarocchi, semplicemente, non rispondono ad una domanda che mai è stata posta.
L’ERRORE GENERA ERRORE
Un’altra situazione si ha quando si prospettano alle carte delle domande che hanno un fondamento menzognero. Dire ad esempio “voglio sapere cosa farà domani perché eravamo d’accordo che ci saremmo sentiti” quando invece non c’era nessun accordo in merito. Si tratta di una domanda fuorviante che può porre il tarologo in una condizione di errore, allo stesso modo in cui viene posto in errore un “output” inserendo una condizione errata. Da un errore in “entrata” si genera forzatamente un “errore” in uscita.
L’INUTILITA’ DI MENTIRE
Vi è poi un altro aspetto, così evidente da non meritare quasi di essere preso in considerazione, ma che tuttavia pare indispensabile mettere all’attenzione del lettore: “cui prodest?” Ovvero: a chi giova questa menzogna? Sicuramente non al consultante, perché non avrà alcuna risposta realistica e degna di essere presa sul serio. Non al tarologo, perché non potrà essere di alcun aiuto. E nemmeno potrà servire per evidenziare una supposta “incapacità” di scorgere il vero, perché come abbiamo visto lo scopo delle carte è di rispondere alle domande, non scoprire la veridicità o meno.
LA PROVA DEL NOVE
Talvolta il tarologo può essere interessato a scoprire se un consultante gli sta mentendo, per poterlo smascherare o per aiutarlo a comprendere che non è la via corretta per avere un responso veritiero dalle carte. Per questo egli stesso, in totale autonomia, può porre ai tarocchi una domanda sulla sincerità rispetto alla situazione che gli viene prospettata. La presenza nel tiraggio di arcani maggiori come la Luna, il Diavolo, l’Innamorato (in cattiva posizione) o di arcani minori come il Due di Spada sarà un elemento probante della mancanza di sincerità o quanto meno non completa adesione alla realtà da parte della persona che gli sta di fronte.